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Il territorio, sublimazione estetica generata dal lavoro umano: #Intervistando Andrea Luzi Donadei

Andrea, come sei arrivato a produrre vino?

Da 400 anni la Famiglia di mia madre ha condotto le Tenute, e quando son nato, nel 1965, il cambiamento epocale era già in atto, e mia madre ha scelto la via di imbottigliare e etichettare i vini che allora si potevano denominare Dolcetto di Clavesana facendoli conoscere a Luigi Veronelli e alle diverse associazioni di categoria. È mancata giovane e non ho potuto dar subito quella continuità necessaria al mantenimento dell’attività, portata avanti per anni da Fabrizio Fabiani. Dagli anni novanta ho strutturato il lavoro con Fabiani; mi impegno a ascoltare, in genere, ma in questo caso voglio trasmettere un’idea di verità che per ora è legata al cambiamento continuo delle sensazioni dei vini.

Che varietà coltivi e che denominazioni ti rappresentano.

Dogliani docg, Dogliani docg superiore, entrambe 100% da uva dolcetto. Pinot Nero doc, Barbera doc, Chardonnay doc.

Spiegaci il tuo lavoro in vigna e in cantina.

I quaranta ettari di terra sono organizzati in circa 14 ettari vitati e il resto condotto a seminativo e a bosco. Fabrizio Fabiani (il nome che abbiamo associato nelle Cantine Luzi Donadei Fabiani) è il winemaker di famiglia, viticultore appassionato e animato da una fede propria inesauribile, forte delle sue prime esperienze a contatto con mia madre, Mirella Luzi Donadei. Processi di antica tradizione, quali la fermentazione a cappello sommerso, che un tempo si arricchiva con le torchiature e con il “fungare” il cappello, cioè la materia solida spinta in alto nella botte dalla prima fermentazione, quella alcolica, al fine di estrarre dalla buccia dell’acino, divisa dalla polpa a causa della pigiatura, quelle magiche sostanze che davvero fanno grande un vino, quel complesso polifenolico, quei colori, tannino e in una parola quel carattere proprio del prodotto. Ora otteniamo tutto questo con i rivoltaggi, cioè irrorando dall’ alto della Botte il cappello indurito. I processi di Cantina valgono, sì, una messa, e dunque anche filtrare i vini con le terre specifiche anziché con la pompa a filtri vuol dire violentar meno il vino, lasciando vivere la sua natura indiscreta e un po’ imperfetta. Ma sul campo, cioè in vigna, si dice in coro anche di più. Nel senso che riducendo il numero di trattamenti difensivi, e forse offensivi, ottieni maggiore libertà di gusti e profumi. Le nostre vigne, piantate su terre calcaree, tufacee, a 390 – 490 metri s.l.m, nel caso specifico del vino Dogliani DOCG Vigneto Conzia 2012, hanno 15 anni di età media, sono rigogliose nella parte vegetativa fuori terra, mentre sviluppano una massa di radici non troppo accentuata, esposte a Ovest e SudOvest, offrono una ragione estetica del loro essere: da piccolo, un tedesco mi chiese perché il tralcio di vite andava in quel modo e in quel senso, e io, vergognoso, ho sentito imbarazzo pieno. Non risposi. Il metodo Guyot, cima, cioè piega il tralcio maestro, detto capotesta, verso il tramontar del sole per invitare la vigna a seguir il ritmo solare del giorno, e questo spiega l’ architettura naturale del vigneto e la sua estetica, come appare a chiunque: ceppi di vite sorgon dalla terra, quasi fosser un mondo, dice Pavese, e il capotesta piega con tender d’arco a ponente, e su in cima, sul dorso di questo, sorgon le gemme, che ritte crescono a pettine, guidate da fili, tesi da mano umana.

Quanto pensi che il territorio influisca sul vino?

Il vino, così come ne ho parlato, è lo specchio della proprietà e del suo terroir: se l’enologo di turno mi omologasse il prodotto otterrei delle sensazioni corrette ma ageografiche. Così come in letteratura, i testi che amo di più sono quelli pieni di legami col contesto di riferimento, i cibi e i vini li amo contestualizzati. Non sono contrario ai processi globali, anzi, ma le due strade devono crescere insieme e pertanto si impone una maturazione collettiva molto dura da ottenere.

Cosa ti lega di più al tuo territorio, e cosa ritrovi di questo nel vino che produci?

Il territorio come paesaggio, architettura naturale, sublimazione estetica generata dal lavoro umano. Non c’è nulla di naturale, alla faccia dei naturalisti e dei verdi, è tutto un artificio straordinario, che se ben gestito, ti porta sensazioni di grande verità. E profondamente motivate le ragioni che producono tale estetica. E l’aria, che sembra sempre più nutriente che altrove. Ma soprattutto il gusto imperfetto, un po spigoloso, asprigno, di quelle genti.

Quali sono i sapori tipici della tua terra che ti piace abbinare di più ai tuoi vini?

Le tome di Murazzano, di capra, i nostri cinghiali, duri e arcigni, e le carni della piana di Carrù.

Passioni a parte il vino: cosa ami fare quando non produci vino?

Fumare la pipa, navigare a vela, marciare nei boschi, leggere, cercare le donne. Mah.

Un messaggio agli amici di Svinando.

Cercare, cercare la luce dentro, e riuscire a dire, a dare, a esprimere: fantastico!

 

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